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Vita Indipendente e autodeterminazione: ancora troppi ostacoli per le persone con disabilità

Pubblicato il 17/02/2012 - Letto 3447 volte
Il tema della Vita Indipendente e dell'autodeterminazione delle persone con disabilità, come si sa, è uno dei "cavalli di battaglia" della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap): è un diritto fondamentale riconosciuto anche nei trattati internazionali. L'inevitabile connessione con due altri temi/diritti - quello dell'assistenza indiretta o auto-gestita e quello del Progetto Individuale - fa diventare il tutto una questione di giustizia sociale per le persone con disabilità. Tuttavia, il Progetto Individuale è ancora troppo spesso una chimera e l'assistenza auto-gestita funziona a singhiozzo lungo tutto lo "Stivale": quindi, parlare di diritto all'autodeterminazione e alla vita indipendente sembra quasi vaneggiare. Ma cosa «è più vitale e paritario della libertà di autodeterminarsi?», chiede la signora Ida Sala al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero. Non sappiamo cosa le risponderà il Ministro, ma sappiamo cosa le ha risposto il Consiglio di Stato quando la signora, qualche anno fa, ricorse contro il proprio Comune per il mancato finanziamento del proprio «progetto di vita indipendente».

Il tema è complesso, ma la sostanza è chiara. Le attuali leggi vigenti che disciplinano la possibilità di avere «programmi di aiuto alla persona gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati» finalizzati a realizzare il diritto alla vita indipendente sono, nei fatti, assolutamente insufficienti per farlo davvero (il riferimento è naturalmente all'articolo 39, comma 2, lettera l-ter, della Legge n. 104/1992, così modificato dall'articolo 1 della Legge n. 162/1998).

Eppure l'evoluzione legislativa sembrerebbe contraddire questa "evidenza empirica": nel 1992 nasce la prima legge - la n. 104 - che tutela in modo sistematico i diritti costituzionali delle persone con disabilità (allora ancora definite «handicappate»); nel 1998, poi, la citata Legge n. 162 integra la Legge n. 104 aggiungendo il riferimento ai programmi di aiuto personalizzati per la vita indipendente; nel 2000, ancora, la Legge n. 328, all'articolo 14, parla esplicitamente di progetti individuali per le persone con disabilità. L'elenco si potrebbe concludere con la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità ad opera della Legge n. 18/2009, che eleva la vita indipendente a rango di diritto umano fondamentale delle persone con disabilità (articolo 19 della Convenzione dell'ONU).

Ma, nei fatti, la situazione è un po' più oscura e la signora Ida Sala (che ha una patologia progressiva e degenerativa) lo ha constatato a proprie spese, vedendosi respingere entrambi i ricorsi (al TAR e al Consiglio di Stato) che aveva presentato contro il proprio Comune per il mancato finanziamento del proprio «progetto di vita indipendente», che prevedeva contributi per ausili tecnici, assistenti personali per lo svolgimento delle attività di vita quotidiana e l'assegnazione di un alloggio fruibile e compatibile con le sue caratteristiche di salute.

Al di là di aspetti strettamente tecnici, il fatto è questo: il progetto di vita della signora Ida non si limitava alla mera assistenza socio-sanitaria, ma riguardava anche quella protesica, quella abitativa ed altri aspetti. La signora, quindi, aveva richiesto al proprio Comune la definizione del proprio «progetto personalizzato». Il Comune, seguendo le indicazioni della legge regionale che disciplinava la materia, ha finanziato solo una parte delle spese, ma non ha coperto l'intero ammontare. La signora, quindi, ha fatto ricorso al TAR e, dopo che questo glielo ha respinto, ha proceduto con l'appello al Consiglio di Stato.

Ma anche il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta della signora Ida, considerando non fondata la pretesa di ottenere un contributo che coprisse, per intero, tutti i costi preventivati nel progetto di vita indipendente proposto. Nella Sentenza n. 6999 del 30 dicembre 2011 (leggi qui la sentenza, collegamento a sito esterno), il Consiglio di Stato ha operato due considerazioni:

  • La prima richiama il già citato articolo 39, comma 2, lettera l-ter, della Legge n. 104/1992: i giudici sottolineano la riserva di legge che prevede la compatibilità degli interventi, delle prestazioni e dei servizi, nel loro complesso, con le disponibilità di bilancio del Comune, ossia con i finanziamenti che lo stesso ha destinato per la copertura di tale tipologia di servizi.
  • La seconda richiama la Sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 4 luglio 2008, la quale, se da un lato riconosce che il sistema di tutela delle persone con disabilità trova la propria base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, dall'altro precisa anche che detto sistema è tuttavia connotato dalla concreta valutazione anche di altri interessi, tra i quali non possono escludersi quelli relativi agli oneri economici eventualmente derivanti, allo stato, dalla tutela prescelta.

La lettura congiunta di queste due considerazioni hanno portato il Consiglio di Stato a ritenere che l'Ente locale (in questo caso, il Comune), nell'adozione delle misure necessarie a rendere effettiva la tutela delle persone con disabilità (ai sensi degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione), abbia facoltà di graduare l'adozione delle stesse in vista dell'attuazione del principio di parità di trattamento, tenuto conto di tutti i valori costituzionali in gioco, fermo comunque il «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati». In altre parole, il Comune non aveva l'obbligo di legge di finanziare interamente il progetto di vita indipendente della signora Ida.

Il problema della signora Ida (e di molte altre persone con disabilità), quindi, non può essere risolto solo per le vie legali, poiché la normativa attualmente vigente (nonché la giurisprudenza) non tiene conto della globalità degli aspetti che, nella vita di una persona con disabilità, costituiscono un ostacolo - e un costo - per la realizzazione di progetti per la vita indipendente.

C'è anche, però, chi non vede, nella Sentenza del Consiglio di Stato, una "minaccia" per futuri progetti di vita indipendente portati avanti ai sensi della Legge n. 162/1998. Massimiliano Gioncada, ad esempio, nel suo commento alla Sentenza (pubblicato su Handylex.org il 24 gennaio scorso, leggi qui il commento), ritiene che «[…] dall'inammissibilità del pagamento "a piè di lista" di certi servizi, non pare dunque potersi inferire un principio generale, applicabile sempre e comunque a tutti i servizi destinati alla grave disabilità e all'anzianità ultra-sessantacinquenne non autosufficiente […]». Infatti: «[…] la portata della decisione in parola è da ricondursi nei precisi limiti che […] il Giudice amministrativo indica: non si rinviene infatti che la limitazione alle risorse disponibili possa essere estesa a tutti gli interventi e i contributi a sostegno delle persone con gravi disabilità, giacché il riferimento è da un lato alle prestazioni collegate ai progetti per la vita indipendente, dall'altro fa comunque salvo il rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati, i c.d. livelli essenziali di assistenza […]».

Se questo è sicuramente vero, rimane il fatto che nella maggior parte dei «progetti personalizzati» (più o meno vicini, nella loro formulazione, a quello che dovrebbe essere il Progetto Individuale), non si tiene conto di quel «profilo di funzionamento» che permetterebbe di fornire un quadro preciso di quali sono le «barriere» da superare e quali i «facilitatori» da promuovere per far sì che la relazione della persona con disabilità e dell'ambiente in cui vive sia positiva e che riduca, quindi, la disabilità, così come la intende l'Organizzazione Mondiale della Sanità con l'ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute).

E non se ne tiene conto, perché, ancora, nella prassi dei servizi alla persona del profilo di funzionamento non ve ne è traccia.

L'impianto certamente "datato" della Legge n. 162/1998, le sue molteplici riserve di legge e l'ancor troppo ambigua concezione del Progetto Individuale (si pensi solo alla questione annosa che vede contrapporre chi ritiene che sia un diritto soggettivo e chi un interesse legittimo) richiedono una visione complessiva della questione. Ma soprattutto politica e legislativa!

E forse è proprio per questo che la signora Ida ha pensato bene di scrivere una lettera al Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero, pubblicata da Superando.it: «Nulla è più vitale e paritario della libertà di autodeterminarsi» (collegamento a sito esterno).

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