Il Progetto Individuale per la presa in carico delle persone con disabilità

a cura di Pierangelo Cenci

In questo focus viene illustrato cos'è il Progetto Individuale e qual è la sua importanza per la vita indipendente delle persone con disabilità

(a cura di Claudia Di Giorgio, Pierangelo Cenci e Anna Vecchiarini)

La persona con disabilità è titolare di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali appartenenti al vigente Diritto internazionale, nonché alle Costituzioni democratiche. Ogni persona con disabilità, quindi, deve essere messa nella condizione di prendere, in modo autonomo e con autodeterminazione, le decisioni che riguardano la condizione della propria esistenza, ossia deve avere la possibilità di portare avanti il proprio progetto di vita. La possibilità di pianificare le scelte che riguardano la propria vita, senza costrizioni o limitazioni ingiustificate da parte di terzi, è un diritto umano fondamentale di tutte le persone: esso è il diritto alla vita indipendente.

Una società che rende questo diritto una prassi quotidiana, non solo è estranea alla logica dell'assistenzialismo e della mera emergenza, ma - attraverso politiche ed interventi ad hoc - è capace di andare al di là di standard progettuali pre-definiti sulla base di categorie fondate sulle menomazioni, per mettersi, invece, nella prospettiva della costruzione di opportunità, che, partendo dalla storia sin lì vissuta dalla singola persona, sono in grado di aprirsi a scenari rispettosi delle differenze di ciascuno.

Questo processo, dunque, deve essere condotto attraverso politiche ed interventi mirati: quando si parla di persone con disabilità, infatti, il passaggio dal riconoscimento dei diritti umani alla loro effettiva esigibilità richiede un «supplemento di garanzie» che riduca gli svantaggi strutturali e che garantisca gli obiettivi della piena e pari partecipazione all'interno della società. Tale «supplemento di garanzie», pertanto, deve essere legato all'effettiva fruizione di politiche pubbliche, alla realizzazione di azioni positive e alla disposizione delle risorse materiali e umane necessarie.

Il «supplemento di garanzie», inoltre, deve far propria la visione olistica della condizione di disabilità, riconosciuta compiutamente nel modello «bio-psico-sociale» proposto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), predisponendo modalità di valutazione della condizione di salute della persona che tengano conto della qualità della vita e di una progettazione degli interventi in grado di ricomprendere l'individuo nella sua globalità e in ogni fase della vita.

Il «supplemento di garanzie», in sostanza, presuppone che gli Enti locali, insieme a quelli regionali e nazionali, garantiscano la concreta attuazione dei diritti umani delle persone con disabilità attraverso l'applicazione della normativa da anni esistente, anche attraverso un eventuale adeguamento in linea con le prescrizioni delle Nazioni Unite (ONU) e dell'OMS.

Il problema che si pone attualmente, tuttavia, non può non tenere conto dell'attuale riduzione delle risorse disponibili e della necessità di garantire la sostenibilità operativa e finanziaria del sistema dei servizi. Ciò induce gli Enti locali a scelte tanto inevitabili quanto sostanzialmente contrastanti. È possibile individuare due tipologie di scelta:

  1. L'appiattimento in difesa di un sistema di erogazione di prestazioni prevalentemente risarcitorie che punti verso una crescente standardizzazione delle risposte.
  2. La persecuzione di un modello di servizi che sappia riconoscere e rendere esigibile, alla persona con disabilità, il diritto di disporre del proprio progetto di vita e che sia in grado di coniugare efficienza, efficacia ed appropriatezza degli interventi riconducendoli all'interno di un progetto di presa in carico globale.

La prima ipotesi, nascondendosi dietro l'alibi della scarsità delle risorse, può determinare un abbattimento dei costi di produzione dei servizi alle persone, ma solo nel breve periodo, in quanto, sicuramente, non comporta una riduzione dei bisogni.

La seconda scelta, certamente più complessa, si colloca, invece, nella prospettiva di sistema di Welfare inteso come strumento di promozione dei diritti e di uguaglianza tra cittadini; si traduce concretamente nell'impegno a definire ed a garantire il processo di presa in carico globale fondato sul Progetto Individuale, previsto dall'articolo 14 della Legge n. 328 dell'8 novembre 2000.

In questo senso, la presa in carico globale, a differenza della pura erogazione di un servizio specifico, sembra garantire le condizioni di base per la realizzazione del personale progetto di vita di una persona con disabilità, che richiede alla rete dei servizi quel «supplemento di garanzie» di cui sopra.


La presa in carico globale

Per garantire senso ed efficacia all'azione dei servizi, infatti, non è possibile concepire la presa in carico come un semplice atto amministrativo che si limita a "smistare" la persona all'interno di una gamma di contenitori, prefigurando il percorso dall'esterno; la presa in carico deve assumere una forte componente educativa, finalizzata a rispondere in modo personalizzato ai bisogni incontrati e deve mettere la persona in grado di fare delle scelte consapevoli rispetto al proprio progetto di vita, promuovendo l'auto-realizzazione e il superamento dello stato di esclusione sociale.

La strategia per dare voce al progetto di vita della persona e realizzare efficaci politiche di intervento a livello locale punta sulla metodologia del lavoro di rete, definita «care management», attraverso la quale è possibile integrare le risorse e gestire i servizi in modo da identificare e affrontare i bisogni individuali nel loro insieme, adeguando il servizio alle persone (invece di adattare le persone ai servizi esistenti) e incoraggiando la partecipazione attiva delle stesse.

In un percorso di presa in carico così strutturato la garanzia del rispetto dei diritti e il riconoscimento dell'unitarietà dei bisogni della persona con disabilità possono essere offerte dall'utilizzo dello strumento del Progetto Individuale.

Il Progetto Individuale è riconducibile agli «accomodamenti ragionevoli» definiti dalla Convenzione dell'ONU come quegli interventi, modifiche e adattamenti al contesto di vita della persona, appropriati in termini di efficacia ed efficienza. L'assenza di tali accomodamenti ragionevoli provoca una discriminazione negativa e una violazione dei diritti umani, poiché, creando ingiustificatamente barriere e negando la disponibilità di elementi facilitatori, impedisce l'accesso e la partecipazione in autonomia ai contesti di vita.

Il Progetto Individuale, quindi, rappresenta la definizione organica degli interventi che la rete dei servizi, a livello assistenziale, riabilitativo, scolastico e lavorativo, deve garantire alle persone con disabilità per il raggiungimento del loro progetto di vita.


Il Progetto Individuale nella Legge n. 328/2000

La Legge n. 328/2000 - si è detto -, all'articolo 14, introduce uno strumento concreto per la realizzazione di una presa in carico globale: il Progetto Individuale (PI). Al comma I, dà indicazioni sugli obiettivi del PI:

«Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell'ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell'interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2».

L'articolo sottolinea che i PI sono richiesti dai soggetti interessati (cioè persone con disabilità e loro familiari). Tale protagonismo dei beneficiari implica ovviamente la loro partecipazione diretta e consenso consapevole rispetto agli obiettivi da perseguire e alle azioni da mettere in campo.
Al comma II, la Legge dà indicazioni rispetto ai suoi contenuti:

«Nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all'integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare».

Tali disposizioni presuppongono l'esistenza di una rete di servizi alla persona: ogni servizio elabora, attraverso un piano o programma, una valutazione che deve essere messa in rete e rielaborata in un'ottica unitaria.

Prima della Legge n. 328/2000 altre disposizioni normative hanno previsto piani (programmi o progetti) individualizzati in ambiti specifici, come quello medico-riabilitativo (Piani terapeutico-riabilitativi, Programma di Assistenza Personalizzato - PAP), della scuola (Piano Educativo Individualizzato (PEI), Profilo Dinamico Funzionale (PDF)), del lavoro (Profilo socio-lavorativo e Diagnosi funzionaleparaplegia). Purtroppo, però, questi strumenti di rilevazione dei bisogni e accertamento delle capacità sono spesso considerati come semplice attività burocratico-amministrativa. Invece, ognuno di questi dovrebbe costituire parte integrante del PI.

Ad oggi, nonostante sia disciplinato dalla legge, il PI non trova una formale e diffusa applicazione, mentre, invece, nelle diverse realtà locali dei servizi si incontrano valutazioni e procedure diversificate. In linea teorica viene, in ogni caso, riconosciuta l'importanza di personalizzare gli interventi e di agire in un'ottica progettuale rispettosa degli obiettivi di vita della persona con disabilità; tuttavia, ogni realtà locale presenta delle peculiarità, legate soprattutto alla disponibilità o meno di risorse economiche.


Punti chiave per l'implementazione nei servizi del Progetto Individuale

Nella sua definizione e realizzazione, il PI è un processo dinamico che deve sapersi adattare alle necessità delle persone che mutano nelle diverse fasi della vita. Deve, quindi, garantire continuità nei processi, soprattutto in occasione di quelle fasi di passaggio avvertite come particolarmente critiche e spesso di abbandono.

Per poter elaborare un PI è necessario innanzitutto:

Da questo si evince che l'elaborazione del PI richiede interventi progressivi e il coinvolgimento di vari enti pubblici e privati. Per questo motivo è importante prevedere meccanismi di monitoraggio che ricomprendano una rilevazione quantitativa e una descrizione qualitativa degli elementi che caratterizzano il Progetto e delle risorse in gioco.

Tali meccanismi dovrebbero essere flessibili, legati agli obiettivi del PI e dovrebbero mettere in primo piano il livello di soddisfazione della persona beneficiaria dell'intervento. Per un monitoraggio efficace i criteri e i parametri utilizzati dovrebbero essere quelli dei diritti e non solo quelli della macro-economia sanitaria.

Il PI, in sostanza, modifica l'impostazione della presa in carico, trasformando l'offerta di servizi che dovranno indirizzarsi sempre più verso soluzioni personalizzate, legate al superamento delle discriminazioni, al conseguimento delle pari opportunità, all'empowerment delle persone beneficiarie e delle loro famiglie. Per poter utilizzare il PI è necessario definire una tipologia chiara di servizi e una loro regolamentazione verso soluzioni flessibili e legate ai bisogni espressi dalle persone con disabilità.


I soggetti coinvolti nell'elaborazione del Progetto Individuale

Secondo quanto disposto dalla Legge n. 328/2000, il titolare dell'elaborazione del PI è il Comune, che predispone i Progetti d'intesa con le ASL e altre istituzioni competenti. Il PI si dovrebbe configurare come un vero contratto tra enti pubblici competenti e beneficiari, e in quanto tale, sottoscritto sia da chi è responsabile di erogare servizi e provvidenze, sia dai beneficiari. Questa impostazione richiede quindi:

È ovvio, quindi, che per portare avanti un progetto globale come il PI, sia necessario il riconoscimento di una rete integrata con la presenza di un referente, il «case manager», che si assuma la responsabilità del percorso di presa in carico e che rappresenti un riferimento unitario, di fiducia per la persona. Il referente, in genere l'assistente sociale, deve garantire il coordinamento tra il PI e i progetti specifici, deve essere il riferimento informativo nei confronti della persona e della famiglia, deve potere intervenire nei confronti dei diversi soggetti/attori che hanno un ruolo nello svolgimento del PI. Pertanto, l'assistente sociale di riferimento per la persona, nel ruolo di coordinatore del PI, deve essere adeguatamente affiancato da un'équipe multi-professionale, integrata, di volta in volta, da figure professionali specifiche relativamente agli ambiti di vita coinvolti.

Inoltre, bisogna sottolineare che il processo di integrazione delle competenze implica la necessità di dotarsi di strumenti condivisi che favoriscano il più possibile l'unificazione degli accertamenti e delle valutazioni, che oggi risultano frammentate, spesso con grave disagio dei beneficiari, all'interno di un'Unità Valutativa unica o intergrata. Da una tale unificazione consegue la necessità di un luogo fisico di raccordo e di riferimento per la persona con disabilità che può essere identificato nel Distretto, oltre che la necessità, per gli operatori, di uno strumento di raccordo che può essere identificato nel Dossier Unico.


Il Dossier Unico

Nell'attuale sistema dei servizi agli operatori è richiesto un sempre maggiore numero di dati da fornire periodicamente e per diversi scopi di monitoraggio degli interventi, rendicontazione e così via. A tal fine, all'interno di ogni servizio e per le diverse professionalità presenti, si utilizzano strumenti che spesso sono costruiti nel corso della propria esperienza di lavoro per cogliere la storia del caso singolo e la sua evoluzione. Questi strumenti sono spesso disomogenei e ostacolano, quindi, la comunicazione e l'integrazione tra i diversi professionisti coinvolti nella realizzazione del PI. Per questo motivo si parla di un Dossier Unico, per ogni persona con disabilità, in cui raccogliere tutte le informazioni, gli atti, le anamnesi, le relazioni, le valutazioni, le comunicazioni e ogni altro elemento che costituisce la "memoria" del PI e dei progetti specifici in maniera da avere una panoramica completa di quello che è stato fatto e di quello che è in corso.

Il Dossier Unico potrebbe soddisfare la necessità di convergenza e la disponibilità delle informazioni, nel rispetto della tutela della privacy e della dignità della persona. Tale Dossier non è solo un modo per razionalizzare il lavoro, ma per rendere evidente, da un punto di vista organizzativo e formale, l'obbligo per tutti gli attori coinvolti di fare confluire in un unico luogo (istituzionale e funzionale) le informazioni e gli atti legati al proprio lavoro.


La necessità di uniformare i criteri di accertamento e valutazione della disabilità

Sulla base di quanto detto finora, emerge la necessità di coordinare culturalmente e tecnicamente tutte le attività collegate al PI. Per le persone con disabilità, infatti, oggi uno dei maggiori problemi è legato all'utilizzo di parametri di valutazione diversi da parte dei vari soggetti che dovrebbero essere coinvolti nella costruzione del PI; questi che sono:

il Distretto della ASL (équipe medico-psico-pedagogica per la scuola, unità operativa di riabilitazione, commissioni di invalidità civile, stato di handicap e Legge n. 68/1999 presso la medicina legale, area materno infantile e area anziani);

Ognuno di questi soggetti utilizza strumenti che si rifanno a indicatori e visioni della salute e della disabilità diversi tra loro. Serve, invece, un codice condiviso. Da questo punto di vista, l'entrata in campo del nuovo sistema di classificazione internazionale, la Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF) rappresenta un'occasione per introdurre criteri e strumenti di valutazione delle abilità e delle perfomance della persona, non utilizzandolo in chiave solo sanitaria, ma anche e soprattutto per analizzare le barriere e i facilitatori esistenti nei contesti di vita, al fine di sostenere la persona verso il raggiungimento dei propri obiettivi. ICF potrebbe rappresentare il parametro guida delle differenti valutazioni che permette di omogeneizzare gli interventi. Sarebbe auspicabile, pertanto, un piano di formazione regionale e territoriale degli operatori coinvolti.


Il Progetto Individuale è un diritto soggettivo del richiedente o un suo interesse legittimo?

L'articolo 14 della Legge n. 328/2000, al I comma, afferma che «i comuni, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell'interessato, un progetto individuale», specificando, però, al II comma, in cui indica quali interventi debba comprendere il Progetto, che ciò deve avvenire «nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19» (Piani Nazionali e Regionali degli Interventi e dei Servizi Sociali - Piani di Zona, N.d.R.). Queste affermazioni del Legislatore hanno portato alla nascita di un dibattito in merito alla posizione giuridica soggettiva della persona con disabilità richiedente il PI, rispetto al Comune che deve predisporlo. Definire se il PI possa considerarsi come diritto soggettivo o come interesse legittimo, è fondamentale per capire quali strumenti giuridici possa utilizzare il richiedente in caso di inerzia del Comune nella predisposizione o attuazione del Progetto, oppure in caso che lo stesso risulti incompleto o inadeguato.

Infatti, nel caso di riconoscimento del PI come diritto soggettivo questo sarebbe immediatamente esigibile da parte del richiedente e i Comuni sarebbero obbligati a predisporlo senza porlo in secondo piano rispetto ad altri interessi pubblici confliggenti che siano chiamati a soddisfare (quali il contenimento delle spese o la destinazione delle risorse disponibili verso altre finalità). Un argomento in favore dell'ipotesi di PI come diritto soggettivo sta nella constatazione che le scelte che la Pubblica Amministrazione deve effettuare per l'elaborazione del Progetto, sarebbero semplicemente di tipo tecnico, ossia scelte in cui la Pubblica Amministrazione non deve giudicare l'opportunità di perseguire un fine pubblico piuttosto che un altro. Inoltre, un'altra argomentazione si rifà a quanto espressamente previsto dal legislatore, il quale stabilisce che i Comuni "predispongono" il PI, non già "possono predisporre": questo non dovrebbe lasciare alcun margine di discrezionalità ai Comuni.

Secondo altra tesi, invece, il PI determinerebbe il sorgere in capo al richiedente di un interesse legittimo. In questo caso bisogna ricordare che l'interesse legittimo può essere soddisfatto solo se compatibile con il perseguimento delle finalità istituzionali della singola Pubblica Amministrazione.

È chiaro, allora, che la soddisfazione della richiesta di PI avanzata dal cittadino non può essere così certa e immediata. Sempre secondo questa tesi, le valutazioni circa l'opportunità di orientare il PI verso il raggiungimento di certi obiettivi piuttosto che di altri, o di utilizzare la rete dei servizi territoriali in un modo piuttosto che in un altro, potrebbero essere intese come scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione per bilanciare i vari interessi in gioco. In tal caso, quindi, la Pubblica Amministrazione eserciterebbe un potere pubblico che può, nel perseguimento dei fini istituzionali, sacrificare l'interesse legittimo del richiedente. Un'argomentazione a sostegno di questa seconda tesi punta su quanto previsto al comma II dell'articolo 14 della Legge n. 328/2000 in cui si parla di "risorse disponibili", il che farebbe pensare a una gestione discrezionale delle risorse economiche. Inoltre, nel caso in cui con il PI si ritenesse di poter attuare specifici interventi o potenziare quelli già esistenti, con relativi costi aggiuntivi, spetterebbe alla Pubblica Amministrazione il potere di valutare l'opportunità pubblica.

Il dibattito sull'argomento è ancora aperto. Diversi esperti in materia giuridica e disabilità hanno considerato che se si propendesse per la tesi dell'interesse legittimo la persona con disabilità potrebbe chiedere alla Pubblica Amministrazione un'espressa risposta alla sua richiesta, lasciando però a quest'ultima le valutazioni discrezionali circa l'opportunità o meno di adottare un Progetto e la sua eventuale articolazione. La persona con disabilità, in quanto richiedente, potrebbe chiedere all'Autorità Giudiziaria di obbligare la Pubblica Amministrazione a pronunciarsi sulla richiesta, oltre che di accertare che il provvedimento, una volta emesso, sia esente da vizi.

La posizione delle maggiori associazioni nazionali rappresentative delle persone con disabilità sembra propendere per il riconoscimento del PI come diritto soggettivo facendo appello all'esigibilità da parte della persona con disabilità del diritto a realizzare il proprio progetto di vita. In questo caso, di fronte all'inerzia della Pubblica Amministrazione, la persona dovrebbe citare quest'ultima in giudizio innanzi al Tribunale Civile Ordinario (con i tempi lunghi di un giudizio civile) chiedendo di accertare l'inadempimento dei suoi doveri, condannarla al risarcimento dei danni e obbligarla alla predisposizione del Progetto.

Da un altro punto di vista, in considerazione dei tempi di risposta a un'eventuale azione contro il Comune, l'ANFFAS, una delle principali associazioni di persone con disabilità, ha affermato che converrebbe propendere per la tesi secondo la quale il PI debba intendersi come un interesse legittimo della persona con disabilità, piuttosto che un suo diritto soggettivo. In tal caso, infatti, sarebbe più facile sia provare l'inerzia della Pubblica Amministrazione (attraverso il ricorso ai termini normativamente prefissati per l'attività amministrativa di tipo autoritativo) sia ottenere, attraverso il rito speciale di cui all'articolo 21-bis della Legge n. 1034/1971, una condanna della Pubblica Amministrazione in tempi rapidi. Viceversa, nel caso di un giudizio innanzi al Tribunale Ordinario, non si potrebbe chiedere al Giudice Ordinario l'emanazione di un provvedimento d'urgenza, in quanto è improbabile riuscire a dimostrare che, dopo avere aspettato dieci anni dall'emanazione della Legge n. 328/2000, solo ora ci sia urgenza a predisporre subito il PI per evitare un imminente danno grave e irreparabile.


Conclusioni

L'adozione dei PI richiederà un'adeguata formazione tecnica e culturale di chi sarà responsabile di elaborarli e di chi ne sarà beneficiario. Servono regole chiare, condivise, applicabili e controllabili per salvaguardare la dimensione di garanzia di esigibilità dei diritti delle persone con disabilità.

Seguendo quest'ottica è possibile affermare che il PI può divenire lo strumento che consentirà alle persone con disabilità e alle loro famiglie di esprimere con chiarezza i propri bisogni e formulare le possibili soluzioni, di fotografare il livello di vita autonoma e di godimento dei diritti, di chiedere alle autorità competenti le necessarie risposte in termini di servizi, di risorse economiche e strumentali.

In conclusione, quindi, l'azione della rete dei servizi in favore delle persone con disabilità deve considerare la dimensione soggettiva del benessere senza limitare il percorso di sviluppo individuale a quanto il sistema è in grado di offrire.


Data: 8/11/2010
Sezione: Focus » Archivio per argomento » Servizi e politiche sociali
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